Segue da “La sfortuna di Camilla – 1”
“Cos’ho?!”
“Non posso esserne sicura, c’è una piccola… cisti direi. Anche se non posso esserne certa, il fatto che sia così superficiale mi fa pensare che questa pallina…”
Nessun apprezzamento sulla sua puntualità nel presentarsi, nessun compiacimento sulla freschezza della sua pelle elastica e curata e adesso anche questo! Una pallina nel seno! Peggio di così non sarebbe proprio potuta andare.
Camilla aveva percepito solo di lontano le incoraggianti indicazioni della dottoressa, senza ascoltarle.
“Signorina, capisco la sua preoccupazione, dico solo che al momento potrebbe aiutarla concentrarsi su…”
Ma Camilla non riusciva a concentrarsi su niente. Passivamente, si era infilata in tasca la prescrizione per gli esami successivi, mentre tutta la sua vita – in modo molto ordinato – le scorreva davanti agli occhi. Le trecce vezzose e strette che la mamma le acconciava per l’asilo, morse sul fondo da gonfi elastici colorati; la montagna di regali luccicanti che sapeva di doversi aspettare a ogni Natale; i festeggiamenti grandiosi per i suoi traguardi accademici. Se avesse saputo di avere un tempo così limitato… no, non avrebbe fatto niente di diverso: la sua vita era perfetta così com’era e l’idea che qualche malattia terribile stesse tramando per scippargliela, la indispettiva profondamente.
A quella visita erano succeduti accertamenti, esami strumentali e valutazioni mediche di ogni tipo. Oltretutto, le era toccato peregrinare per fredde sale d’aspetto, tappezzate di cartelli pieni di slogan fastidiosi, incoraggianti tutti i comportamenti che lei, più di chiunque altro, aveva mantenuto; e nessuno – proprio nessuno – che si fosse preso la briga di riconoscerle un poco di umanità: i suoi abiti appropriati non le erano valsi parole di conforto, una sola persona capace di comprendere e avvalorare il pregio delle graziose calzature, non l’aveva incontrata. Solo una vecchia, che aveva dovuto occupare proprio il posto accanto al suo (nonostante il gran numero di sedute libere) si era disturbata a domandarle come mai, una ragazza talmente giovane e bella, si trovasse in un luogo tanto sfortunato; salvo poi attaccare un infinito panegirico su quanto fossero privilegiate a vivere in un’epoca in cui la scienza permettesse tali terapeutiche grandiosità, diversamente da quanto accadeva ai tempi della sua gioventù, quando…
ma cosa poteva importarle di discorsi del genere, riguardo un’esistenza quasi completamente passata, quando la sua – appena al principio – era già condannata! Delusa dall’iniziale indizio d’interesse, l’aveva liquidata in fretta, estraendo dalla borsa pregiata un libro che non aveva mai avuto intenzione di leggere.
Infine giunto, l’esito delle scrupolose indagini non aveva lasciato adito a dubbi: Camilla era perfettamente sana e quella piccola sferetta sul margine del suo seno destro era solo una piccola, innocua ciste.
Purtroppo, il danno era fatto e la sua vita era irrimediabilmente rovinata dalla presa di coscienza di un’insopportabile mortalità.
Ormai il buongiorno dell’autista aveva smesso di fare da nota d’inizio alle sue armoniose giornate;
le partecipate parole delle colleghe alla macchinetta del caffè – animate del solo sospetto che qualcosa di terribile le stesse accadendo, dacché Camilla non si era sbottonata, lasciando trapelare il giusto della tragicità – non nutrivano il suo senso d’importanza
Neanche la puntualità del 3C, normalmente tanto apprezzata, le aveva più suscitato alcuna punta di benessere e i tragitti, un tempo riposanti, trascorrevano popolati da cupi pensieri.
Mentre il 3C con un’agile e pericolosa curva a gomito si affacciava su Piazza della Libertà, Camilla melodrammaticamente rifletteva: libertà da cosa, se la prima prigione è il nostro corpo, capace di rivoltarcisi contro quando meno ce lo aspettiamo? Il senso di sconfitta e inadeguatezza le gravava sul cuore.
Ma dopo un anno, in un mattino d’autunno, le era giunto – chiaro come il Sole – il momento di risollevarsi, di dire basta!
La sola, brillante, conclusione a cui era giunta, consisteva nel realizzare che la sua vita perfetta non l’aveva protetta dalle paure e dai pericoli della realtà; le convinzioni con cui ogni suo gesto era stato concimato, consistevano unicamente in disgustose menzogne. La brezza gelata che spazzava piccoli stormi di foglie rossastre lungo l’asfalto della via principale, le sembrava confermasse freddamente la teoria, ravvivandole il colore sugli zigomi imbellettati.
Come un’avvenente anima in pena, Camilla si aggirava senza meta nel centro della città. Non si era presentata in ufficio come gesto di estrema ribellione, cercando di gustare a distanza la preoccupazione che avrebbe causato quell’assenza imprevista, ma non le bastava! Brancolava alla ricerca di qualunque cosa potesse restituirle l’immortale sensazione d’invincibilità, di imperdibilità che – era certa – la sua persona aveva significativamente animato negli altri!
La rivoleva per se stessa.
Così, accelerata dall’urgenza, aveva camminato a lungo con passo spedito su e giù per le strade, ritrovandosi infine sul ciottolato di Piazza della Libertà. Il senso di urgenza aveva raggiunto il suo acme e Camilla, ubriaca delle luccicanti vetrine acquerellate dall’umida foschia, si sentiva scoppiare di vita e possibiltà;
avrebbe compiuto un gesto rivoluzionario, sopra alle righe, sì: aveva trovato! Si sarebbe tinta i capelli che aveva a lungo fantasticato di perdere!
Il salone all’ultima moda più vicino era dall’altra parte della piazza, di fronte a lei. L’attraversamento pedonale si trovava a un centinaio di metri e, durante l’epoca coscienziosa della sua esistenza, l’avrebbe raggiunto senza esitare, ma le vane cautele erano ormai morte e sepolte: un moto di fulgida agitazione la spingeva in linea retta verso la destinazione, di fronte all’angolo della piazza. Ah, come ne sarebbe uscita rigenerata!
Stava muovendo i primi passi diretti al futuro, avrebbe dato una svolta alla sua personale traiettoria, cercato ancora più gloria per i suoi palesi meriti: offuscata dal bagliore accecante della nuova, la vecchia Camilla sarebbe stata dimenticata. Ormai aveva raggiunto il ciglio della strada, un altro passo e poi un altro ancora.
Purtroppo, senza la fretta di scoprire quella nuova, la vecchia Camilla, avrebbe anche ricordato che, proprio a quell’ora
dall’angolo della piazza, si sarebbe pericolosamente materializzato a un palmo dal suo naso, silenzioso, il 3C.
(FINE)
Ancora rido … non mi aspettavo il finale sarcastico, mi ha gabbata. Bell’idea, originale.
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Lo sapevo!
Aspettavo questo commento!
Ma non è farina del mio sacco: sto leggendo i racconti (per adulti) di Roald Dahl. Quell’uomo era inquietante forte…
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“… no, non avrebbe fatto niente di diverso”. E già. Mi ricorda Isaac Asimov e il suo (condivisibile): « Se il mio dottore mi dicesse che mi rimangono solo sei minuti da vivere, non ci rimuginerei sopra. Batterei a macchina un po’ più veloce.»
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Povero Isaac però 😂
che accostamento impietoso! 😅
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Mi è venuto d’impulso. Altrimenti mi sarei soffermato sulla vecchia nella sala d’aspetto che dice “Eh, dvinter vic l’è un brot lavurir!”…ma avrei sciupato la bellezza del tuo testo 🙂
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Ma a me la vecchia sta simpatica: è Camilla che malsoppporto.
Eccesso di cavalleria – come tuo solito – a parte, è gradevolmente leggibile, secondo te?
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Allora, se ritieni il mio giudizio affidabile (cioè di uno che si dilunga e in altri tempi ha pubblicato sbrodolamenti a stento contenuti in sei/sette parti) ti rispondo con un “sì” secco e poco cavalleresco 😉 oh, e poi ho fatto un salto su quella piattaforma che hai citato. Il tono e il contenuto di certe “cose” pubblicate là, dovrebbe essere per te motivo di forte autostima 😉
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😂😂😂😂 grazie!
È che se nessuno mi dice su o mi fa appunti, penso in automatico che faccia interamente cagare…
No beh Wattpad è osceno: quello che là viene considerato figo, onestamente mi vergognerei di averlo scritto…
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Mi è piaciuto il tuo lavoro di “scavo” su Camilla, ciò che man mano le fai pensare nell’arco della vicenda. (Poi ho notato che Wattpad ti permette di inserire un commento – per lo più idiota – a ogni capoverso di ciò che leggi, ottenendo l’effetto telecronaca della Gialappa’s Band. Mah?!).
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Volevo acuire il senso della sua superficialità
taci: ho visto
per il poco che ho letto, i commenti sono peggio dei testi 😅
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Lo è, lo è, continui pure. Lei scriva, noi si legge.
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Ah, posso fare un appunto? “Non si era presentata a lavoro” io non lo reggo proprio, anche se è una tendenza che sta imperversando ovunque.
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Appunti volentierissimo
ma non capisco perché no questa forma 🤔
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Per lo stesso motivo per il quale non dirò mai che qualcuno “si è assentato o è appena tornato da lavoro”. Da casa, da scuola, sì. Da lavoro, no.
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Così va meglio?
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Direi di sì.
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Ah, rileggendo il suo racconto, ho trovato un “lunsinga”. Abitualmente, non faccio il correttore di bozze, ma visto che qui si parla di tozze, ci sta.
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Grazie! Più tardi lo correggo!
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